
I dieci adesivi della Guida Michelin ed i due della Guida ai sapori e ai piaceri de La Repubblica (tanto per non farsi mancare nulla) parlano chiaro: qui si mangia bene. Eppure, confuso tra gli altri piccoli locali che si trovano nel triangolo tra Porta San Miniato e via di San Niccolò a Firenze, Zeb (acronimo dei piatti più tipici della tradizione contadina, zuppe e bollito) passa quasi inosservato.
Di certo non si tratta di un’altra rivendita di schiacciate farcite né di una “mangeria” rivolta esclusivamente ai turisti. È invece un ristorante all’interno del quale i due affabili proprietari, Giuseppina ed Alberto, madre e figlio, da quaranta anni salvaguardano la cucina tradizionale, servendo piatti preparati con cura (si vede) con ingredienti locali di alta qualità (si sente). Qui, per capirsi, si trovano ancora la lingua in dolceforte e il coniglio ripieno.
Anche l’ambiente invita a celebrare il rito di un pasto come si deve. Niente codici da inquadrare col telefonino (la tecnologia a volte è così indigesta) ma lo chef stesso che mostra una lavagna con il menù del giorno a ciascuno dei commensali. E la conformazione del locale con l’insolito bancone a ferro di cavallo, all’interno del quale si prendono gli ordini e si servono i piatti, crea volutamente “una sorta di situazione conviviale collettiva”.
Essendomi perso quaranta anni di Zeb, io che di fronte al Rifrullo che si trova dall’altra parte della strada ci sarò passato mille volte, i cappellacci fatti in casa ho dovuto per forza assaggiarmeli, per aprire degnamente lo stomaco, come pure la torta della nonna in chiusura, ma – diciamocela tutta – ero lì per la trippa.

E la trippa alla fiorentina di Zeb è un capolavoro. Al primo boccone si capisce che di quelle degne delle tavole di quei fiorentini (se ce ne sono ancora) che abitano le ville in collina, nobile e leggera, senza che il pomodoro sovrasti tutti gli altri sapori; una sinfonia di aromi di spezie che sprigiona fin da subito, e soprattutto servita senza formaggio come tradizione vuole. Tanto delicata che per la maggior parte l’ho gustata senza pane, il che per me è tutto dire.

A questo punto una petizione che viene dal cuore e dallo stomaco: perché non cambiare il nome del locale da Zeb a Zebet (zuppe e bollito… e trippa!)?