31 Maggio 2024

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Il nuovo quaderno

N’ha fattu quantu Juvadi


Secondo l’antropologo Giuseppe Pitrè, uno dei padri fondatori della moderna etnologia italiana noto per il suo lavoro pionieristico nella raccolta e nello studio delle tradizioni popolari, “ogni popolo ha i suoi personaggi favoriti, nei quali individualizza cento storielle di sciocchezze, di furberia, di astuzia, di rilegiosità [sic], di divozione, che, avvenute in un luogo, o non avvenute mai, presero qua e là sviluppo e ferma stanza. Però questi personaggi, differenti nei nomi, si somigliano nella natura, perché informati a un medesimo tipo”.

La figura archetipa dello sciocco in Calabria è quella di Juvadi (o Juva’) che al termine di ogni novella viene quasi sempre “mazziatu buonu buonu” a causa della sua idiozia. Non per niente, quando qualcuno commette una sciocchezza, i calabresi usano dire “N’ha fattu quantu Juvadi”.

Uno di questi racconti popolari è quello nel quale Juvadi viene mandato dalla mamma a lavare della trippa. Mentre sta risciacquandola in mare, Juvadi vede in lontananza dei pescatori e chiede loro conferma del suo ottimo lavoro. Costoro però non riescono a distinguere le parole urlate da Juvadi e, credendo che voglia essere imbarcato, lo raggiungono a riva. Accortisi del malinteso che ha fatto loro perdere tempo prezioso, gliele danno di santa ragione. Juvadi molla tutto e scappa a gambe levate. Una volta giunto a casa si giustifica con la madre dicendo che la trippa è stata mangiata da un lupo. E a questo punto prende altre botte per la sua stupidaggine.

Questa la versione originale della novella in dialetto calabrese come riportata a pag. 48 del decimo volume della rivista trimestrale “Archivio per lo studio delle tradizioni popolari” diretta da Giuseppe Pitrè e Salvatore Salomone-Marino, pubblicata a Palermo nel 1891 per i tipi della Libreria internazionale Carlo Clausen (già L. Pedone Lauriel):

‘Nu juornu ‘a mamma ha accattatu ‘na trippa, e ha dittu a Juvadi: “Va a lavari ssa trippa, e lavada bona”. Juvadi è jutu a lavari ‘a trippa, ma apparti ‘e jiri a la jumara, è jutu a lu mari; s’è misu a lavari e gridava: “Oooooi genti! È davata bona ssa trippa?” I marinari l’hanu sentutu e duntanu, e si cridianu ch’era ‘na persuna chi vodia passari ‘u mari; su’ juti ed hanu trovatu a Juvadi ch’ancora gridava: “Genti! È bona davata ssa trippa?” Chilli, sdingati, l’hanu fattu ‘na bona vattuta. Juvadi ha jettatu ‘a trippa intr’ ‘u mari, e si n’è fujutu; ed è ricuotu a la casa dopo dua juorni, e ha dittu: “‘A trippa mi l’ha levata ‘nu dupu, mamma mia”. Chilla povarella chi vodia la trippa, chiangiennu chiangiennu, l’ha fattu ‘na ferma vattuta ch’è statu ‘nu misu a lu diettu.

© Aerostato / TroppaTrippa.com

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Secondo l'antropologo Giuseppe Pitrè, uno dei padri fondatori della moderna etnologia italiana noto per il suo lavoro pionieristico nella raccolta e nello studio delle tradizioni popolari, "ogni popolo ha i suoi personaggi favoriti, nei quali individualizza cento storielle di sciocchezze, di furberia, di astuzia, di rilegiosità [sic], di divozione, che, avvenute in un luogo, o non avvenute mai, presero qua e là sviluppo e ferma stanza. Però questi personaggi, differenti nei nomi, si somigliano nella natura, perché informati a un medesimo tipo".

La figura archetipa dello sciocco in Calabria è quella di Juvadi (o Juva') che al termine di ogni novella viene quasi sempre "mazziatu buonu buonu" a causa della sua idiozia. Non per niente, quando qualcuno commette una sciocchezza, i calabresi usano dire "N'ha fattu quantu Juvadi".

Uno di questi racconti popolari è quello nel quale Juvadi viene mandato dalla mamma a lavare della trippa. Mentre sta risciacquandola in mare, Juvadi vede in lontananza dei pescatori e chiede loro conferma del suo ottimo lavoro. Costoro però non riescono a distinguere le parole urlate da Juvadi e, credendo che voglia essere imbarcato, lo raggiungono a riva. Accortisi del malinteso che ha fatto loro perdere tempo prezioso, gliele danno di santa ragione. Juvadi molla tutto e scappa a gambe levate. Una volta giunto a casa si giustifica con la madre dicendo che la trippa è stata mangiata da un lupo. E a questo punto prende altre botte per la sua stupidaggine.

Questa la versione originale della novella in dialetto calabrese come riportata a pag. 48 del decimo volume della rivista trimestrale "Archivio per lo studio delle tradizioni popolari" diretta da Giuseppe Pitrè e Salvatore Salomone-Marino, pubblicata a Palermo nel 1891 per i tipi della Libreria internazionale Carlo Clausen (già L. Pedone Lauriel):

'Nu juornu 'a mamma ha accattatu 'na trippa, e ha dittu a Juvadi: "Va a lavari ssa trippa, e lavada bona". Juvadi è jutu a lavari 'a trippa, ma apparti 'e jiri a la jumara, è jutu a lu mari; s'è misu a lavari e gridava: "Oooooi genti! È davata bona ssa trippa?" I marinari l'hanu sentutu e duntanu, e si cridianu ch'era 'na persuna chi vodia passari 'u mari; su' juti ed hanu trovatu a Juvadi ch'ancora gridava: "Genti! È bona davata ssa trippa?" Chilli, sdingati, l'hanu fattu 'na bona vattuta. Juvadi ha jettatu 'a trippa intr' 'u mari, e si n'è fujutu; ed è ricuotu a la casa dopo dua juorni, e ha dittu: "'A trippa mi l'ha levata 'nu dupu, mamma mia". Chilla povarella chi vodia la trippa, chiangiennu chiangiennu, l'ha fattu 'na ferma vattuta ch'è statu 'nu misu a lu diettu.

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