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Alla bella trippaiola

Nel 1646 un tale Felippo Sgruttendio de Scafato, nom de plume di un autore dall'identità tuttoggi controversa, pubblicò una raccolta di sonetti e canzoni in dialetto napoletano intitolata "La tiorba a taccone" (la "tiorba", o "chitarrone", è uno strumento musicale simile al liuto, mentre il "taccone" è il plettro). In questo canzoniere, suddiviso in dieci "corde" e che strizza l'occhio in maniera ironica alle rime del Petrarca, l'autore celebra temi cari alla poesia contemporanea - come l'amore, la bellezza femminile, la vita di quartiere, la musica, il ballo popolare - rivalutando nel contempo la poesia vernacolare considerata di basso livello durante il dominio spagnolo a Napoli.

Il terzo sonetto della quarta corda de "La tiorba a taccone" ci presenta un'ode rivolta "A la bella trippaiola":



A LA BELLA TRIPPAIOLA
zoè, che benneva trippa

Zeza tù me si fatta trippaiola,
E binne trippa ianca e tennerella,
Sulo pe deuentare mariola,
Cà danno trippa, arruobbe coratella.
Io de ssà trippa ne vorria na fella,
Quanto me nce sedogno quarche mola,
Nò me fà fare chiù la spotazzella,
Famme passare tanta cannauola.
Non sò chiù hommo, cride, ma Coculo,
Vedendo ca ssà trippa chiù me strippa,
De suglia, de vregara, ò pontarulo.
Chest'arma sparafonna, e se n’allippa,
E pe golìo te manna n'agliarulo,
Si no le daie no poco de ssà trippa.
  

ALLA BELLA TRIPPAIOLA
cioè, che vendeva trippa

Zeza, mi ti sei fatta trippaiola
e vendi trippa bianca e tenerella
solo per diventare una mariuola
ché, dando trippa, rubi coratella.
Di questa trippa io ne vorrei un pezzo [una fetta]
solo per ungere un po' qualche molare,
non mi far più venire l'acquolina in bocca,
Fammi passare questo desiderio così forte.
Non sono più un uomo, credimi, ma un babbeo,
quando penso che questa trippa mi sbudella più
di una lésina, di un trapano o di un punteruolo.
Questa [mia] anima sprofonda, e se la svigna,
e per la voglia ti farà il malocchio
se non le dai un po' di questa trippa.

Da notare il gioco di parole tra cuore e coratella al quarto verso. Strappa un sorriso anche il termine del dialetto napoletano per "acquolina", ovvero la "sputazzella". Ed infine, il penultimo verso, qui tradotto con "malocchio", parla invece letteralmente dell'orzaiolo, infezione oculare associata - nella credenza popolare - alla sfera sessuale.


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